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Negli anni '60 Piazza del Pantheon non ancora pedonalizzata.
Foto Carlo Riccardi © Archivio Riccardi
Operai issano i pali della corrente elettrica negli anni '50.
Foto Carlo Riccardi © Archivio Riccardi
1963, Piazza Venezia.
Foto Carlo Riccardi © Archivio Riccardi
Lavori per la costruzione con la tecnica di "scavo a cielo aperto" della linea Metropolitana A nel quartiere San Giovanni negli anni '70.
Foto Carlo Riccardi © Archivio Riccardi
1972, lavori per la costruzione della stazione della Metropolitana "Re di Roma".
Foto Carlo Riccardi © Archivio Riccardi
1971, lavori per la costruzione della stazione della Metropolitana "Barberini".
Foto Carlo Riccardi © Archivio Riccardi
1955, bambini si tuffano nella "Fontana dei Quattro Fiumi" di Piazza Navona, progettata nel Seicento dallo scultore e architetto Gian Lorenzo Bernini.
Foto Carlo Riccardi © Archivio Riccardi
1955, bambini si tuffano nella "Fontana dei Quattro Fiumi" di Piazza Navona, progettata nel Seicento dallo scultore e architetto Gian Lorenzo Bernini.
Foto Carlo Riccardi © Archivio Riccardi

Alessandro Garrisi

Presidente Associazione Nazionale Archeologi

La storia urbanistica, lo sviluppo urbanistico di Roma a partire dal dopoguerra fino ai giorni nostri racconta una storia in cui spesso si sono intrecciati interessi pubblici diversi. Pensiamo a come doveva essere Roma all’indomani della Seconda guerra mondiale: una città economicamente in forte svantaggio, con intere zone – per la zona di San Lorenzo – distrutte e da ricostruire. Si è creata una situazione in cui lo Stato, nella ricostruzione, cercava di coniugare interessi diversi. Da un lato c’era chiaramente l’interesse a tutelare il patrimonio storico-artistico della nazione – una tutela che nel 1948 era diventata tutela costituzionale con l’articolo 9 -, ma bisognava anche garantire che la città fosse ricostruita, che il Paese ricominciasse a produrre, a svilupparsi, e quindi questi due interessi iniziarono ad entrare in conflitto.

In una città come Roma, nonostante sia la città a livello nazionale – non posso dire a livello mondiale, ma sicuramente tra le più importanti città anche a livello mondiale per patrimonio archeologico conservato e da scoprire -, nonostante questo la storia dell’espansione urbanistica di Roma è una storia fatta soprattutto di abusi; abusi che si sono realizzati in maniera diversa e che sono stati raccontati nel tempo molto bene da alcuni studiosi, da importanti urbanisti. 

Ecco, quello che è successo è che, se da un lato il patrimonio storico-artistico del Paese e di Roma è sempre stato considerato un’eccellente risorsa, anche in grado di mobilitare masse di turisti e di pellegrini ad arrivare in questa città ad ammirare le sue bellezze,  dall’altro il garantire che la città si potesse espandere ospitando i cittadini che chiedevano di venire a vivere a Roma – o che comunque si dovevano spostare da una zona all’altra – provocò un’espansione tutto sommato disordinata, e che spesso si sviluppò attraverso assi non pianificati. Una delle costanti della storia di Roma, per esempio, riguarda i piani regolatori. 

Il piano regolatore generale è sempre stato visto come lo strumento che doveva indicare le direttrici attraverso cui sviluppare la città di Roma. Di fatto, non sempre ci riuscì; soprattutto negli ultimi cinquanta/sessant’anni, dagli anni Sessanta ad oggi, più che a veri e propri piani regolatori, abbiamo assistito o a varianti al piano regolatore – delle modifiche ai piani regolatori esistenti per renderli applicabili sul territorio – oppure a varianti specifiche, anche all’introduzione di concetti specifici; pensiamo allo strumento della compensazione urbanistica introdotto durante la prima giunta Rutelli. È stato uno di quegli strumenti che ha provocato grande disordine nello sviluppo edilizio della città. Come funzionava la compensazione urbanistica? Il costruttore che doveva realizzare un edificio o un lotto di edifici in una zona che invece veniva ad essere vincolata per motivo paesaggistico – o per un vincolo archeologico – riceveva il permesso di costruire in un’altra zona, ma le cubature, spostandosi dalla prima alla seconda, si moltiplicavano. Per esempio, nel caso del progetto che doveva essere realizzato a Tor Marancia, il costruttore ricevette il triplo delle cubature previste. Tor Marancia, però, fu salvata; perché fu salvata? Perché fu posto il vincolo archeologico. Quindi in questo caso avvenne che l’interesse alla tutela generò un provvedimento per salvaguardare una zona, ma tutta la collettività pagò un prezzo in termini urbanistici, perché abbiamo ricevuto il triplo delle cubature che inizialmente erano previste.

Quindi tutta la storia urbanistica di Roma dagli anni Sessanta ad oggi è fatta di episodi di questo tipo, episodi in cui si è provato a costruire al di fuori delle linee generiche indicate dai piani regolatori. Oggi sentiamo spesso che l’archeologia viene indicata un po’ come la causa che rende difficile eseguire quei progetti che servono al Paese per svilupparsi. In questo momento in cui stiamo uscendo, si spera, ci si augura, dalla pandemia – un evento terribile che ha colpito tutto il pianeta, e che economicamente ha messo in ginocchio il Paese – c’è sicuramente l’interesse nazionale affinché i progetti finanziati attraverso i fondi europei vengano realizzati il più velocemente possibile. È stato un po’ strano assistere all’attacco contro l’archeologia da parte di quei ministeri che cercano di sviluppare i progetti inseriti nel piano nazionale; l’archeologia viene indicata come la causa del rallentamento di questi progetti. Io, in vent’anni di esperienza di cantieri, posso dire che i rallentamenti che ho visto a causa dell’archeologia sono del tutto residuali rispetto a tanti altri problemi che si incontrano per la realizzazione dei progetti come ad esempio la burocrazia: siamo un Paese in cui per realizzare un progetto servono decine di permessi di ogni tipo, ognuno di questi comporta diversi passaggi, i tempi si rallentano, i progetti devono essere fatti bene, invece spesso subiscono delle varianti, continue varianti, e ad ogni variante il processo ricomincia da capo. Quindi più che fermare l’archeologia, serve una migliore progettazione per fare in modo che lo sviluppo del Paese si ottenga nel minore tempo possibile e che questo sia compatibile con la tutela del patrimonio storico-urbanistico della nazione e con il suo paesaggio. Questi due elementi devono essere tutelati: in una città come Roma costituiscono la principale risorsa economica esterna, perché proprio i turisti, che prima della pandemia arrivavano a centinaia di migliaia, milioni ogni anno, sono i principali fruitori di questa importantissima risorsa economica che abbiamo nella nostra città.

Il boom edilizio che ha coinvolto la città di Roma principalmente fra gli anni Sessanta ed i Novanta – ma ancora oggi vengono realizzati interi nuovi quartieri in nuovi quadranti non ancora edificati – credo possa aver causato un danno abbastanza importante al patrimonio archeologico del Paese e della città. Lo penso anche perché ho visto, purtroppo, svolgersi determinate azioni che non mi sono sembrate particolarmente ben fatte. L’Associazione Nazionale Archeologi, di cui sono presidente nazionale, negli anni ha anche presentato degli esposti in procura per denunciare situazioni opache nella realizzazione di progetti edilizi su cui poi, in seguito, la magistratura non ha proceduto; quindi non possiamo dire che ci siano stati degli illeciti amministrativi o penali, però io ho visto con i miei occhi pezzi del patrimonio danneggiati, se non addirittura obliterati, senza che ne sia stata, probabilmente, mantenuta traccia.