Mastroianni Marcello
Marcello Vincenzo Domenico Mastroianni è nato a Fontana Liri (FR) il 28 settembre 1924. Sin da piccolo ebbe la possibilità di fare comparse in film come “La corona di ferro”(1941) di Blasetti, e “I bambini ci guardano” (1943), di Vittorio De Sica.
Fino all’età di nove anni vive a Torino con la famiglia per poi trasferirsi a Roma.
Qui Marcello viene avviato agli studi di perito edile e nel 1943 consegue il diploma. Dopo un breve impiego nel comune di Roma viene inviato dall’esercito, in pieno periodo bellico, all’Istituto Geografico Militare di Firenze quale disegnatore.
L’incalzare degli alleati lungo la linea gotica determina il ritiro delle truppe tedesche verso il nord e, conseguentemente, il trasferimento dell’Istituto Geografico Militare a Dobbiaco. Da lì sarebbe stato successivamente internato in Germania e avrebbe messo in atto con il suo amico, il pittore Diego Brindisi, la fuga verso Venezia, dove rimase clandestino fino all’arrivo degli alleati. Finalmente riesce a tornare a Roma, dove si fa sempre più forte il desiderio di lavorare per il cinema.
Conosciuta Giulietta Masina al Centro Universitario Teatrale, recita con lei in Angelica e nel contempo ottiene un impiego come contabile presso la casa di produzione cinematografica Eagle e Lion Films.
Introdotto ormai nell’ambiente non tarda ad essere notato per il suo talento e finalmente Emilio Amendola, amministratore della compagnia di Luchino Visconti, lo ingaggia per la sua riuscitissima serie di spettacoli andati in scena tra il 1948 ed il 1956: Oreste, Troilo e Cressida, Morte di un commesso viaggiatore, Un tram che si chiama desiderio, La Locandiera, Le tre sorelle e Zio Vania.
Nel frattempo collezionò una serie di apparizioni sullo schermo. Il film che rivelò alla critica e al pubblico il suo talento fu “Le ragazze di Piazza di Spagna” (1952), di Luciano Emmer, che lo aveva già diretto in “Domenica d’agosto” (1950). Mastroianni si rivelò particolarmente adatto alla delicata introspezione di un cinema che stava a metà strada tra il neorealismo e la commedia all’italiana. Questa sua predisposizione venne confermata in “Giorni d’amore di De Dantis”, dove egli potè rivivere le sue origini ciociare in una chiave di lieve comicità.
Blasetti e Lizzani gli affidarono anche ruoli drammatici, ma egli sembrava più incline alla commedia. La sua immagine di ingenua onestà si legava bene, infatti, alla malizia femminile della giovane Sophia Loren. I due fecero coppia in diversi film, ma i risultati migliori li ottennero in “Peccato che sia una canaglia” (1954), e “La fortuna di essere donna” (1955), entrambi diretti da Blasetti. Parallelamente, Mastroianni proseguì in teatro la collaborazione con Visconti, che nel 1957 gli offrì anche il ruolo principale in uno dei suoi migliori film, “Le notti bianche”, tratto da Dostoevskij. Subito dopo tornò alla commedia all’italiana con “I soliti ignoti”, uno dei capolavori del genere.
Fotogenico come pochi, Mastroianni è attore dal talento non comune. Oltre a possedere innegabili doti interpretative, ha il merito di non legarsi ad alcun stereotipo ( a differenza di tanti altri attori della sua generazione). I primi segni della maturità rinvigorirono il fascino della sua immagine e “La dolce vita” (1960) lo consacrò come l’antieroe del nuovo decennio poichè il suo sguardo di sfinge incarnava il turbamento intellettuale di un’epoca di crisi.
In “Otto e mezzo”, Federico Fellini se ne servì per un celeberrimo autoritratto. Ma anche Bolognini (Il bell’Antonio, 1960), Antonioni (La notte, 1961) e Zurlini (Cronaca familiare, 1962), gli affidarono ruoli difficili e complessi. Mastroianni non rinnegava però la sua vis comica e toccava tutte le corde dell’umorismo, da quello più gentile e garbato (Fantasmi a Roma, 1961), a quello più corposo (Divorzio all’italiana, 1962). Il suo sodalizio con la Loren, ormai star consacrata dall’Oscar, si rinnovava più volte e con ottimi risultati, soprattutto in “Ieri, oggi e domani” (1963), “I girasoli” (1960) e “Una giornata particolare” (1977).
Anche negli anni ’70, egli fu l’interprete più amato dagli autori del cinema italiano. Marco Ferreri ed Ettore Scola lo vollero protagonista in molti dei loro film: da “Permette? Rocco Papaleo” (1971), a “La grande abbuffata” (La grande buffe, 1973), da “Ciao maschio” (1978), a “La terrazza” (1980). Le caratterizzazioni di Mastroianni erano sempre sapide e rispettose delle indicazioni degli autori. Pur senza mai prevaricare i suoi ruoli, Mastroianni si affermò come una delle maggiori personalità che il cinema italiano abbia prodotto nel dopoguerra. Anche quando è maschera di se stesso, come nella nostalgia felliniana di “La città delle donne” (1980) e di “Ginger e Fred” (1985), egli sa costruire con pazienza e modestia il suo personaggio, cominciando ogni volta da zero. Forse è per questo che anche i registi delle nuove generazioni continuano a servirsi di lui: Marco Bellocchio, ad esempio, gli ha affidato un difficile ruolo pirandelliano nell’Enrico IV (1984). Naturalezza, ironia e senso della misura sono le inossidabili armi di Marcello Mastroianni. Già conscio del destino cui il terribile male lentamente lo stava condannando, ha voluto chiudere la sua lunga e meritoria carriera a contatto diretto con il suo pubblico recitando in teatro, dove aveva raccolto i suoi primi successi. Sul set del suo ultimo spettacolo teatrale, Le Ultime Lune, scritto da Furio Bordon con la regia di Giulio Bosetti, Mastroianni recita una battuta profetica: “…I miei compagni dicono che preferirebbero morire in estate, con il sole che entra dalla finestra spalancata e li scalda per l’ultima volta. Io no…Io vorrei morire a Natale…con il grande albero illuminato in mezzo alla piazza…mentre la neve cade lenta su tutta Paperopoli…e io guardo volteggiare nell’aria in compagnia di Qui e Quo, i miei due fratellini…e mi sento a casa, al caldo e al sicuro…con le zampe infilate nei miei scarponcini gialli e il copriorecchie a batuffolo che mi stringe delicatamente le tempie come la carezza di un figlio bambino…” Marcello Mastroianni è morto all’alba del 19 dicembre 1996, a Parigi.